Le condizioni di lavoro nei reparti ospedalieri e nei servizi territoriali stanno rapidamente degradando. Il
blocco del turnover, introdotto con la Legge n. 296 del 2006, ha determinato, ad oggi, una carenza nelle
dotazioni organiche di circa 10 mila medici. I piani di lavoro, i turni di guardia e di reperibilità vengono coperti
con crescenti difficoltà e una volta occupate le varie caselle si incrociano le dita sperando che nessuno si
ammali buttando all’aria il complicato puzzle che bisogna comporre ogni mese. Quindici milioni di ore di
straordinario non pagate, numero di turni notturni e festivi pro-capite in crescita, fine settimana quasi sempre
occupati tra guardie e reperibilità, difficoltà a poter godere perfino delle ferie maturate rappresentano gli
elementi su cui si fonda oggi la sostenibilità organizzativa ed economica degli ospedali italiani.
Regioni e Aziende, dal 2007 ad oggi, hanno risparmiato tagliando sul personale, il Bancomat che è stato
ferocemente sfruttato per raggiungere l’equilibrio di bilancio. Non si tratta solo di turnover ma anche di
gravidanze o di assenze per malattie prolungate mai sostituite. Il risparmio per le aziende relativamente al
mancato turnover dei medici e dirigenti sanitari per il solo 2018 è valutabile intorno al miliardo di euro,
mentre gli straordinari non retribuiti rappresentano un regalo di 500 milioni che ogni anno viene dai medici e
dirigenti sanitari elargito alle aziende. Ormai la situazione è pesante ed i numeri del presente lavoro indicano
che la prospettiva rischia di avvitarsi verso il dramma, arrivando addirittura alla difficoltà di reperire specialisti
pur in presenza di uno sblocco del turnover, in mancanza di interventi che determinino rapidamente un
cambiamento. Le soluzioni sono state indicate in due punti qualificanti del cosiddetto “Contratto di Governo”.
Si afferma, infatti, che “Il problema dei tempi di attesa è susseguente anche alla diffusa carenza di medici
specialisti, infermieri e personale sanitario. È dunque indispensabile assumere il personale medico e
sanitario necessario, anche per dare attuazione all’articolo 14 della legge n. 161/2014”. Si ribadisce, inoltre,
che “I posti per la formazione specialistica dei medici dovrebbero essere determinati dalle reali
necessità assistenziali e tenendo conto anche dei pensionamenti, assicurando quindi un’armonizzazione
tra posti nei corsi di laurea e posti nel corso di specializzazione”.
E’ necessario, pertanto, non solo sbloccare il turnover ma incrementare anche il finanziamento per le
assunzione ed attivare i diversi miliardi di risparmi effettuati dalle Regioni nell’ultimo decennio. Per quanto
attiene la formazione post laurea, oltre ad incrementare ad almeno 9500/10.000 i contratti annuali, è arrivato
il momento di una riforma globale passando ad un contratto di formazione/lavoro da svolgere fin dal primo
anno in una rete di ospedali di insegnamento in modo da mettere a disposizione degli specializzandi
l’immensa casistica e il patrimonio culturale e professionale del SSN. L’attuale sistema formativo, nella parte
specialistica post lauream, se confrontato con quello degli altri Paesi Europei, appare obsoleto ed
espressione di un arroccamento dell’Università che, pur di non perderne l’egemonia, è disposta a barattare
la qualità formativa e la performance dell’intera programmazione di medici specialisti. Occorre apportare una
modifica sostanziale all’impianto legislativo del D.lgs. 368/99 in cui risulti evidente una compartecipazione
equa tra Università e Ospedali del SSN nel percorso formativo e nel controllo della qualità dello stesso.
Certamente “Una riforma difficile da fare ma impossibile da non fare”, come disse Giovanni Berlinguer
riferendosi alla istituzione 40 anni fa del SSN.
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