Microscopio

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Definizione

(by Test Ammissione)

Definizione

Il microscopio ottico, nelle sue molte varianti e fino alle più recenti estensioni elettroniche, ha rappresentato per oltre due secoli uno snodo fondamentale per le Scienze Biomediche. Insieme allo stetoscopio, è divenuto un’icona delle professioni sanitarie e della ricerca morfologica, consentendo di rendere visibili strutture cellulari e subcellulari altrimenti inaccessibili. Le evoluzioni contemporanee, dai sistemi a contrasto avanzato alla rivelazione digitale, non hanno ridotto il valore dello strumento, che rimane imprescindibile in ambito medico-biologico.

07.44.01 Microscopio semplice

L’osservazione diretta di un oggetto produce un’immagine sulla retina la cui dimensione apparente è governata dall’angolo sotto cui l’oggetto viene visto (angolo visuale). Per accrescere i dettagli percepiti occorre aumentare tale angolo, avvicinando l’oggetto all’occhio. Tuttavia l’accomodazione visiva impone un limite: al di sotto della distanza convenzionale di visione distinta \( d_0 = 25 \) cm l’occhio non può mettere a fuoco in modo confortevole, per cui l’angolo massimo fruibile dipende dalla capacità di accomodazione individuale. Se l’oggetto ha dimensione \( y \) (Figura 07.44-01), per piccoli angoli vale:

\[\tan \xi \approx \xi = \frac{y}{d_o} \quad (\text{per } \xi \text{ piccolo}).\]

Interponendo davanti all’occhio una lente convergente si ottiene un’immagine virtuale ingrandita dell’oggetto a una distanza apparente compatibile con l’accomodazione: la lente funge da lente d’ingrandimento, ossia da microscopio semplice. Richiamando la relazione di ingrandimento lineare e ponendo la distanza dell’immagine \( q = d_0 = 25 \) cm, si ottiene, misurando le distanze in metri:

\[G = \left|\frac{q-f}{f}\right| = \left|\frac{-0.25}{f}-1\right| = \frac{0.25}{f}+1.\]

Ne segue che forti ingrandimenti richiedono focali molto corte. Sotto circa 5 cm, però, le aberrazioni geometriche e cromatiche diventano rilevanti; per questo, nella pratica si impiegano lenti composte (per esempio doppietti acromatici) che attenuano le distorsioni. Con \( f = 12 \) mm si ottiene tipicamente \( G \approx 20 \), valore prossimo al limite utile per un microscopio semplice prima che le aberrazioni e la ridotta profondità di campo ne compromettano l’efficacia osservativa.

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Angolo visuale massimo

Angolo visuale massimo alla minima distanza di visione distinta (senza sforzo).

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07.44.02 Microscopio composto

Il microscopio composto impiega due sistemi di lenti, obiettivo e oculare, montati alle estremità di un tubo di lunghezza nominale intorno a 16 cm (Figura 07.44-02). La lunghezza ottica \( D \), ovvero la distanza tra i piani focali coniugati dei due sistemi, è dello stesso ordine, ma può variare con la combinazione obiettivo–oculare.

L’obiettivo ha focale molto corta \( f_1 \) e genera un’immagine reale, rovesciata e ingrandita dell’oggetto, collocato poco oltre il suo fuoco. L’oculare, di focale \( f_2 \), agisce da lente d’ingrandimento sull’immagine reale prodotta dall’obiettivo, fornendo un’immagine finale virtuale a una distanza apparente prossima a \( d_0 = 25 \) cm (Figura 07.44-02). L’ingrandimento complessivo è il prodotto degli ingrandimenti dei due sistemi:

\[G = G_1 G_2.\]

Per l’obiettivo, l’ingrandimento lineare dell’immagine reale di un oggetto \(AB\) è, secondo la relazione delle lenti sottili:
\[
G_1 \approx \frac{q - f_1}{f_1} \approx \frac{D}{f_1}
\]
dove:

  • \(G_1\) è l’ingrandimento prodotto dall’obiettivo,
  • \(q\) è la distanza dell’immagine reale formata dall’obiettivo,
  • \(f_1\) è la lunghezza focale dell’obiettivo,
  • \(D\) è la distanza del tubo ottico (ossia la distanza tra il piano dell’immagine reale e il piano oggetto).

L’approssimazione \( G_1 \approx \dfrac{D}{f_1} \) è valida quando l’immagine si forma in prossimità del piano focale dell’oculare, come accade nei microscopi composti.

Gli obiettivi sono progettati affinché l’aberrazione sferica risulti minimizzata per una specifica posizione del preparato, così che l’immagine reale \( A'B' \) si formi prossima al fuoco dell’oculare. Combinando le espressioni dell’oculare e dell’obiettivo e misurando le distanze in metri, si ottiene per l’ingrandimento totale:

\[G = G_1 G_2 \approx \frac{q-f_1}{f_1} \frac{0.25+f_2}{f_2}.\]

L’ingrandimento aumenta al diminuire di \( f_1 \) e \( f_2 \), e valori teorici fino a circa 2000× risultano raggiungibili; in pratica, però, la diffrazione della luce impone un limite più severo all’“ingrandimento utile”. In (Figura 07.44-03) è illustrata la sezione di un microscopio composto. La messa a fuoco si ottiene traslando l’insieme ottico lungo l’asse fino a collocare l’oggetto poco oltre il fuoco dell’obiettivo, in modo che l’immagine reale \( A'B' \) cada tra obiettivo e oculare e l’immagine virtuale finale \( A''B'' \) risulti a una distanza compresa tra il punto prossimo e l’infinito. Quando l’immagine virtuale è posta a \( d_0 \), l’ingrandimento angolare coincide con quello lineare.

La visualizzazione dei preparati avviene tipicamente in trasparenza (Figura 07.44-03): un condensatore (Figura 07.44-04) uniforma e concentra l’illuminazione sul campione, posto tra sorgente e obiettivo. Se ci si limitasse all’Ottica geometrica, l’ingrandimento potrebbe crescere senza limiti, controllando le aberrazioni. In realtà, quando le dimensioni dei dettagli si avvicinano a poche lunghezze d’onda della radiazione impiegata, diventa dominante la natura ondulatoria della luce: la diffrazione “spalma” l’immagine di un punto in una figura di Airy, per cui due punti vicini appaiono come macchie parzialmente sovrapposte. La quantità inversa della minima distanza tra due punti ancora distinguibili è il potere separatore (risoluzione) del microscopio.

Il limite di separazione è legato all’apertura numerica dell’obiettivo, \( \mathrm{NA} = n \sin \alpha \) (con \( n \) indice del mezzo tra coprioggetto e fronte dell’obiettivo, \( \alpha \) semiangolo del cono di luce accettato). Per un sistema in luce incoerente, il criterio di Rayleigh fornisce approssimativamente la distanza minima risolvibile nel piano oggetto: \( d_{\min} \approx 0{,}61\,\dfrac{\lambda}{\mathrm{NA}} \). Aumentare \( \mathrm{NA} \) — ad esempio con obiettivi ad immersione in olio, \( n \approx 1{,}515 \) — migliora la risoluzione più dell’aumento dell’ingrandimento nominale, prevenendo l’“ingrandimento vuoto”.

L’operazione di messa a fuoco è critica perché l’intervallo di posizioni del preparato che mantiene l’immagine prossima al fuoco dell’oculare è ridotto. Si definisce profondità di campo la massima separazione tra due piani del campione osservabili contemporaneamente a fuoco. Indicando con \( \Delta p \) tale distanza, per il microscopio si ottiene:

\[\Delta p = \frac{f_1^2 f_2^2}{(d_o + f_2)}.\]

(con le lunghezze espresse in metri). La profondità di campo cresce con le focali: perciò la prima messa a fuoco si esegue profittevolmente con obiettivi a lunga focale e basso ingrandimento, prima di passare a obiettivi più spinti.

In molti preparati biologici l’indice di rifrazione e lo spessore degli oggetti non differiscono sufficientemente dal mezzo circostante: la luce trasmessa viene assorbita in modo simile da campione e fondo, con scarso contrasto di intensità. Se possibile, si ricorre a colorazioni selettive per introdurre un contrasto cromatico. Quando la colorazione non è praticabile perché altererebbe strutture o vitalità, si impiegano tecniche di contrasto fisico:

  • microscopia a contrasto di fase, che trasforma differenze di cammino ottico in variazioni di intensità grazie a opportuni anelli di fase e di apertura nell’illuminazione e nell’obiettivo;
  • microscopia polarizzatore–analizzatore, utile per evidenziare regioni birifrangenti o otticamente attive che ruotano il piano di polarizzazione della luce;
  • microscopia a fluorescenza, in cui specifiche molecole vengono eccitate a una certa lunghezza d’onda ed emettono a lunghezze d’onda maggiori, separando il segnale dal fondo con filtri spettrali;
  • microscopia a laser, inclusa la scansione confocale, che restringe il volume di osservazione con un pinhole coniugato e incrementa risoluzione laterale e profondità di campo, con migliore sezione ottica del campione.

L’adozione di illuminazione corretta (per esempio l’illuminazione di Köhler), la scelta di obiettivi adeguati all’applicazione (achromat, plan-achromat, apocromat, versioni ad immersione) e l’impiego di rivelatori digitali ad alte prestazioni (sensori CCD/CMOS) consentono di massimizzare contrasto, risoluzione e fedeltà dell’immagine. L’acquisizione digitale rende inoltre possibile la misura metrologica con reticoli calibrati e l’elaborazione quantitativa delle immagini.

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Microscopio composto

Schema del microscopio composto. La distanza D = FₗF₂ vale circa 16 cm (il disegno non è in scala).

Immagine tratta liberamente da Internet. Se viola i tuoi diritti, contattaci.

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Microscopio composto

Schema del microscopio composto. La distanza D = FₗF₂ vale circa 16 cm (il disegno non è in scala).

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Sezione di un microscopio composto

Sezione di un microscopio composto dove: (1) e (2) sono rispettivamente l’oculare e l’obiettivo, che è montato su una torretta portaobiettivi ruotante (3); (4) il condensatore dotato di diaframma a iride per variare la luce proveniente da una sorgente (non mostrata); (5) uno specchio concavo ruotante; (6) la vite a cremagliera che consente di muovere il tubo del microscopio per la messa a fuoco; (7) l’analoga vite che consente spostamenti micrometrici (messa a fuoco fine). Sul tavolino (8) è poggiato il vetrino, costituito da una lastrina di vetro spessa circa 1 mm, su cui è posto il preparato AB, sul quale viene incollato un vetro dello spessore di 20 μm. Il preparato viene osservato attraverso quest’ultimo vetro. Il perno (9) consente di inclinare il microscopio per un’osservazione più comoda. Con A″B″ è indicata l’immagine virtuale e invertita prodotta dal microscopio composto.

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Sezione di un microscopio composto

Sezione di un microscopio composto dove: (1) e (2) sono rispettivamente l’oculare e l’obiettivo, che è montato su una torretta portaobiettivi ruotante (3); (4) il condensatore dotato di diaframma a iride per variare la luce proveniente da una sorgente (non mostrata); (5) uno specchio concavo ruotante; (6) la vite a cremagliera che consente di muovere il tubo del microscopio per la messa a fuoco; (7) l’analoga vite che consente spostamenti micrometrici (messa a fuoco fine). Sul tavolino (8) è poggiato il vetrino, costituito da una lastrina di vetro spessa circa 1 mm, su cui è posto il preparato AB, sul quale viene incollato un vetro dello spessore di 20 μm. Il preparato viene osservato attraverso quest’ultimo vetro. Il perno (9) consente di inclinare il microscopio per un’osservazione più comoda. Con A″B″ è indicata l’immagine virtuale e invertita prodotta dal microscopio composto.

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Illuminazione del preparato

Un condensatore illumina il preparato posto sotto l’obiettivo. (a) Nell’illuminazione diretta, solo la parte centrale dell’oggetto risulta illuminata (tratteggio), mentre i raggi marginali non colpiscono la lente dell’obiettivo. (b) La luce diffusa da un vetro smerigliato illumina completamente l’oggetto, ma l’illuminazione è insufficiente. (c) Il condensatore (sistema di lenti) C concentra la luce sull’obiettivo e quindi tutta la luce può essere impiegata a formare l’immagine.

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