Le applicazioni pratiche della biotecnologia basata sul DNA condizionano molti aspetti della nostra vita
Definizione
G₁ rappresenta un nodo di controllo in cui crescita, metabolismo e riparazione si integrano con la decisione di proliferare. Sulla base di indizi intracellulari (dimensioni, stato dei nutrienti, integrità del DNA) e di segnali ambientali, il sistema di controllo del ciclo decide se trattenere la cellula in G₁, indirizzarla verso uno stato non proliferativo (G₀) oppure avviare la preparazione alla replicazione del DNA. Il passaggio critico tra G₁ e S è in gran parte unidirezionale: dopo averlo oltrepassato, la cellula percorre rapidamente le fasi successive fino alla divisione. Nei lieviti la transizione è detta Start, poiché implica l’impegno a completare l’intero ciclo (Figura 07.04-01); nei mammiferi un punto funzionale analogo è il cosiddetto restriction point (R). La regolazione fine di questa soglia dipende da reti di feedback positivi e negativi che, se alterate, favoriscono una crescita incontrollata e la tumorigenesi.
La conclusione della fase M richiede un drastico azzeramento dell’attività delle chinasi ciclina‑dipendenti (Cdk) per evitare una repentina ri‑entrata in S e una seconda divisione senza un intervallo adeguato. Questo “reset” si ottiene mediante più livelli coordinati di controllo che assicurano una G₁ stabile:
- degradazione delle cicline mitotiche e delle cicline S preesistenti attraverso il complesso di ubiquitina‑ligasi APC/C, inizialmente attivato da Cdc20 e poi mantenuto dal co‑fattore Cdh1, con smistamento dei complessi ciclina‑Cdk al proteasoma;
- blocco della sintesi di nuove cicline mediante riduzione della trascrizione e della traduzione di geni chiave, sostenendo un basso tenore globale di attività Cdk;
- accumulo di inibitori delle Cdk (CKI), come p27 e p21 nei mammiferi o Sic1 nel lievito, che neutralizzano i complessi residui ciclina‑Cdk e impediscono riattivazioni premature;
- ripristino di fattori necessari al “licensing” della replicazione, tra cui Cdc6, Cdt1 e il caricamento dell’elicasi MCM sui siti d’origine, processo favorito proprio dal basso livello di Cdk e dalla degradazione di geminina da parte di APC/C‑Cdh1.
L’uso congiunto di degradazione proteica, repressione della sintesi e inibizione enzimatica garantisce lo spegnimento completo delle Cdk. Questa condizione a bassa attività Cdk non è solo un intervallo temporale tra due fasi, ma è funzionalmente essenziale per ricostruire la competenza alla replicazione e monitorare l’ambiente prima dell’impegno in un nuovo ciclo.
Le cellule di mammifero, in generale, proliferano solo in presenza di mitogeni prodotti da altre cellule. L’assenza di tali segnali arresta il ciclo in G₁ o favorisce l’ingresso in G₀. L’esposizione a mitogeni attiva vie di segnalazione come Ras‑MAPK e PI3K‑Akt‑mTOR che aumentano trascrizione e traduzione di cicline precoci (cicline D) e di componenti per la sintesi del DNA. La sequenza di eventi tipica comprende:
- formazione e attivazione dei complessi ciclina D‑CDK4/6, i quali iniziano la fosforilazione della proteina del retinoblastoma (Rb), un repressore trascrizionale che in condizioni basali limita l’espressione di geni pro‑proliferativi;
- rilascio progressivo dei fattori E2F dalla repressione di Rb, con accensione di un programma genico che include ciclina E, ciclina A e vari fattori della duplicazione (es. DNA polimerasi, PCNA, MCM);
- attivazione dei complessi ciclina E‑CDK2 (G₁/S‑Cdk), che consolidano la fosforilazione di Rb, instaurano circuiti di feedback positivi (ad esempio promuovendo la degradazione di CKI via SCF^Skp2) e spingono la cellula oltre la soglia G₁‑S.
In questa logica, Rb rappresenta un freno centrale: la sua iperfosforilazione da parte di G₁‑Cdk e G₁/S‑Cdk impedisce l’interazione con i complessi E2F, liberando la trascrizione dei geni necessari alla progressione (Figura 07.04-02). Oltre ai segnali mitogenici, cues anti‑proliferativi (per esempio TGF‑β) possono incrementare CKI come p15 e p21, opponendosi a CDK4/6 e CDK2 e spostando la bilancia verso la permanenza in G₁ o l’ingresso in G₀. L’architettura complessiva assicura una decisione “tutto‑o‑nulla”, con proprietà di commutazione robuste alle fluttuazioni dei segnali.
La presenza di lesioni al DNA induce un arresto in G₁ per prevenire la replicazione di un genoma compromesso. Kinasi sensori come ATM e ATR, attivate rispettivamente da rotture a doppio filamento o stress replicativi/lesioni a singolo filamento, fosforilano effettori quali Chk2 e Chk1. Questi, a loro volta, stabilizzano e attivano p53 riducendone la degradazione mediata da MDM2. p53 agisce da regolatore trascrizionale inducendo l’espressione di p21 (CDKN1A), un CKI che si lega e inibisce G₁/S‑Cdk e S‑Cdk, bloccando l’ingresso in S (Figura 07.04-03). L’arresto fornisce il tempo per attivare le vie di riparo del DNA. Se il danno è irreparabile, p53 può promuovere programmi di apoptosi o una stabilizzazione a lungo termine dell’arresto (senescenza). Mutazioni inattivanti di p53, frequenti in circa il 50% dei tumori umani, compromettono questi freni e aumentano il carico mutazionale, favorendo la trasformazione neoplastica.
La progressione può essere sospesa in modo reversibile o permanente. Oltre ai checkpoint, esistono stati cellulari non proliferativi con caratteristiche distinte:
- quiescenza (G₀): arresto reversibile con metabolismo ridotto, mantenuto da Rb ipofosforilata e alti livelli di CKI; esempi includono linfociti T naïve e cellule staminali ematopoietiche adulte, capaci di riattivarsi rapidamente in risposta ad antigeni o fattori di crescita;
- senescenza: arresto stabile indotto da stress replicativo, accorciamento telomerico o segnali oncogenici, spesso sostenuto dagli assi p16^INK4a‑Rb e p53‑p21; le cellule senescenti possono assumere un fenotipo secretorio (SASP) con effetti locali sui tessuti;
- differenziamento terminale: dismissione del programma proliferativo con silenziamento duraturo di cicline e Cdk; esempi sono cardiomiociti post‑natali e osteociti, nei quali la rete di controllo del ciclo risulta in gran parte smantellata.
Le differenze nei tassi di proliferazione dei vari tessuti dell’adulto riflettono soprattutto la durata degli intervalli in G₁/G₀. Popolazioni altamente rinnovative, come i cheratinociti basali dell’epidermide o i progenitori ematopoietici, rientrano frequentemente in ciclo; altre, come fibroblasti tissutali in condizioni basali, oscillano raramente tra G₀ e G₁ e divengono proliferative solo in risposta a stimoli come danno tessutale o citochine. Il controllo temporale dell’uscita e del rientro nel ciclo è quindi una leva fisiologica che bilancia omeostasi, riparazione e rischio oncogeno.
