La formazione e la funzione delle molecole e dei composti ionici dipendono dai legami chimici tra atomi

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(by Test Ammissione)

La cellula è costituita soprattutto da composti a base di carbonio

Tralasciando l’acqua, la quasi totalità delle molecole cellulari ha il carbonio come elemento centrale. Il carbonio si distingue per la combinazione unica di caratteristiche elettroniche e dimensionali: possiede quattro elettroni di valenza e quattro orbitali disponibili, condizione che consente la formazione di quattro legami covalenti stabili con un’ampia gamma di elementi, incluso se stesso (Figura 01.09-13). La forza dei legami C–C e C–H, unita alla possibilità di adottare ibridazioni diverse (\(sp^3\), \(sp^2\), \(sp\)), rende possibili catene lineari e ramificate, anelli, e sistemi con doppi e tripli legami, da cui derivano molecole di grande complessità e dimensioni potenzialmente molto elevate.

Questa versatilità strutturale favorisce l’esistenza di molte forme di isomeria (per esempio isomeri di catena, di posizione e stereoisomeri), con profonde ricadute funzionali in biologia: basti pensare alla chiralità degli amminoacidi proteogenici o alla specificità conformazionale degli zuccheri ciclici. I composti del carbonio sintetizzati dalle cellule vengono indicati come molecole organiche; per convenzione, tutte le altre sostanze, inclusa l’acqua, sono raggruppate tra le molecole inorganiche. La distinzione è storicamente utile, pur ammettendo eccezioni di confine, come \( \mathrm{CO_2} \) o i carbonati.

Le proprietà chimico-fisiche delle biomolecole dipendono in larga misura dai gruppi funzionali che portano. Tra i più ricorrenti si annoverano: metile (–CH₃), ossidrile (–OH), carbossile (–COOH), carbonile (–C=O), fosfato (–PO32−) e amminico (–NH₂). Ciascun gruppo introduce reattività specifiche e modula la solubilità, la polarità e le interazioni intermolecolari:

  • i gruppi metilici conferiscono carattere idrofobo e influenzano la stabilità conformazionale;
  • gli ossidrili formano legami a idrogeno e aumentano l’affinità per l’acqua;
  • i carbossili sono tipicamente acidi, secondo l’equilibrio \( \mathrm{R{-}COOH \rightleftharpoons R{-}COO^- + H^+} \), e partecipano a reazioni di condensazione;
  • i carbonili sono fortemente polari ed elettrofili, cruciali in addizioni nucleofile e isomerizzazioni;
  • il gruppo fosfato è polianionico a pH fisiologico e centrale nei trasferimenti di gruppo e nell’accumulo di energia (ad esempio in ATP);
  • i gruppi amminici sono basici, possono protonarsi \( (\mathrm{-NH_3^+}) \) e partecipare a legami a idrogeno e reazioni di acilazione.

Comprendere come tali gruppi determinano l’acidità, la basicità, l’elettrofilia o la nucleofilia delle molecole facilita l’interpretazione della chimica della vita e delle reazioni che la sostengono.

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Geometria dei legami covalenti

I legami covalenti hanno geometrie particolari. (A) Disposizione spaziale dei possibili legami covalenti di ossigeno, azoto e carbonio. (B) A causa di tale disposizione, le molecole composte da questi atomi presentano una struttura tridimensionale precisa, determinata dagli angoli e dalla lunghezza di legame per ogni combinazione covalente. Per esempio, la molecola di acqua ha una forma a “V” con un angolo prossimo a 109°. In questi modelli a sfere e bastoncini, le sfere colorate rappresentano i differenti atomi e i bastoncini i legami covalenti. I colori convenzionali per rappresentare i vari atomi (nero o grigio scuro per il carbonio, bianco per l’idrogeno, azzurro per l’azoto e rosso per l’ossigeno) furono fissati nel 1865 dal chimico August Wilhelm Hofmann, che utilizzò una serie di palline da croquet colorate per costruire modelli molecolari in occasione di una conferenza sulle “capacità combinatorie” degli atomi.

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Nelle cellule ricorrono quattro classi fondamentali di piccole molecole organiche

Le piccole molecole organiche cellulari sono, in generale, composti con non più di una trentina di atomi di carbonio e massa molecolare nell’ordine di 100–1000 Da. Si trovano per lo più disciolte nel citosol, dove assolvono funzioni molteplici. Una quota agisce come monomero per la costruzione di macromolecole polimeriche — proteine, acidi nucleici e polisaccaridi di grandi dimensioni — tramite reazioni di condensazione e trasferimenti di gruppo altamente regolati. Un’altra quota alimenta il metabolismo energetico ed è convertita, attraverso sequenze ordinate di reazioni, in intermedi e prodotti via via più semplici o più ossidati.

La stessa molecola di piccole dimensioni può svolgere ruoli diversi a seconda del contesto: una esosa, per esempio, è al contempo substrato energetico della glicolisi, precursore per polisaccaridi strutturali e unità costitutiva di glicoconiugati. Nel loro insieme, queste molecole sono molto meno abbondanti delle macromolecole e rappresentano una frazione minoritaria — dell’ordine di un decimo — della massa organica totale. Un batterio modello come Escherichia coli contiene un repertorio che si colloca nell’ordine di qualche migliaio di specie molecolari, approssimativamente attorno a 4 000, riflesso della ricchezza del suo metabolismo.

La biosintesi e la degradazione seguono schemi ricorrenti — ossidoriduzioni, trasferimenti di gruppi, condensazioni/idrolisi, isomerizzazioni — che riducono la varietà apparente a un insieme limitato di trasformazioni governate da principi comuni. Ne consegue che i composti cellulari risultano tra loro strettamente imparentati e riconducibili a famiglie ben definite. In generale, nelle cellule si distinguono quattro famiglie principali di piccole molecole organiche (Figura 01.09-01):

  • Zuccheri: poliidrossialdeidi o poliidrossichetoni che possono ciclizzare in forme piranosiche o furanosiche; fungono da riserva e fonte di energia, da mattoni per polisaccaridi strutturali e di riserva, e da elementi di riconoscimento quando legati a lipidi o proteine tramite legami glicosidici;
  • Acidi grassi: catene idrocarburiche con testa carbossilica, spesso con doppi legami in configurazione cis; sono componenti anfipatici delle membrane (come nelle fosfoacilglicerine) e costituiscono densissime riserve energetiche sotto forma di triacilgliceroli;
  • Amminoacidi: contenenti gruppo amminico e carbossilico sullo stesso scheletro carbonioso, prevalentemente nella configurazione L; polimerizzano in peptidi e proteine attraverso legami peptidici, mostrando proprietà acido-base dipendenti dal pH e contribuendo con catene laterali diversificate alla funzione proteica;
  • Nucleotidi: composti da base azotata, zucchero pentoso e uno o più fosfati; oltre a essere monomeri di RNA e DNA (legami fosfodiestere), partecipano al metabolismo energetico e alla segnalazione, come nell’idrolisi di ATP \( (\mathrm{ATP + H_2O \rightarrow ADP + P_i}) \) o nella formazione di \( \mathrm{cAMP} \).

Benché non tutti i composti cellulari rientrino rigidamente in queste categorie, tali quattro famiglie e le macromolecole che ne derivano spiegano una parte sostanziale della massa cellulare complessiva (Tabella 01.09-01). La loro interconversione, orchestrata dalle vie metaboliche, illustra come l’unità chimica di base si traduca in una straordinaria varietà funzionale.

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Principali famiglie di molecole organiche

Gli zuccheri, gli acidi grassi, gli amminoacidi e i nucleotidi sono le quattro famiglie principali di piccole molecole organiche della cellula. Vi appartengono gli elementi costitutivi monomerici, o subunità, di ben più grandi molecole organiche, compresa la maggior parte delle macromolecole e di altri agglomerati molecolari della cellula. Alcuni, come gli zuccheri e gli acidi grassi, vengono usati anche come fonte di energia.

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Sostanza% del peso cellulareNumero approssimativo di tipi molecolari
Acqua701
Macromolecole (acidi nucleici, proteine, polisaccaridi)24~3000
Zuccheri e precursori1~250
Ioni inorganici1~20
Amminoacidi e precursori0,4~100
Nucleotidi e precursori0,4~100
Fosfolipidi24*
Acidi grassi e precursori1~50
Altre molecole piccole0,2~300

Composizione chimica di una cellula batterica

Le cellule batteriche presentano una composizione chimica peculiare, in cui prevale l’acqua, mentre altre componenti come macromolecole, lipidi, zuccheri e ioni inorganici concorrono a garantire le funzioni metaboliche e strutturali. La tabella seguente riassume le principali classi di sostanze con la loro percentuale rispetto al peso cellulare e il numero stimato di tipi molecolari.

Zuccheri: riserva energetica cellulare e mattoni dei polisaccaridi

I monosaccaridi rappresentano la forma più elementare dei carboidrati e seguono, nella maggior parte dei casi, la formula empirica \( (CH_2O)_n \), con \( n \) tipicamente compreso tra 3 e 6. Il glucosio, tra i più diffusi nella biosfera, ha composizione \( C_6H_{12}O_6 \) ed è illustrato in (Figura 01.09-02). L’espressione “carboidrati” deriva proprio da questa proporzione caratteristica tra carbonio e acqua; tuttavia, la formula bruta non esaurisce la descrizione strutturale, poiché atomi disposti in ugual numero possono organizzarsi in configurazioni tridimensionali profondamente diverse, dando origine a funzioni chimiche e biologiche peculiari.

La varietà deriva in primo luogo dall’isomeria. Molecole con uguale formula bruta ma architettura differente sono isomeri; quando due strutture sono immagini speculari non sovrapponibili, si definiscono isomeri ottici (enantiomeri) e, per gli zuccheri, sono indicati come serie D e L in riferimento al centro stereogenico correlato al gliceraldeide. Accanto agli enantiomeri, si osservano epimeri, che differiscono per la configurazione di un singolo carbonio asimmetrico: il mannosio e il galattosio sono epimeri del glucosio, rispettivamente in C-2 e in C-4. In soluzione acquosa, molti aldosi e chetosi ciclizzano spontaneamente formando emiacetali o emichetali, originando anelli a sei termini (piranosi) o a cinque termini (furanosi); la chiusura dell’anello genera un nuovo centro stereogenico (carbonio anomerico), con due anomeri, α e β, interconvertibili per mutarotazione. Questa ricchezza stereochimica amplifica in modo esponenziale il repertorio strutturale degli zuccheri (Figura 01.09-02).

I monosaccaridi possono connettersi in sequenze più lunghe tramite legami glicosidici, un particolare tipo di legame covalente stabilito tra gruppi ossidrilici. La formazione del legame avviene attraverso una reazione di condensazione: due –OH reagiscono liberando una molecola d’acqua e producendo un ponte glicosidico (Figura 01.09-03). Se uniamo due monosaccaridi otteniamo un disaccaride, come il saccarosio, che accoppia glucosio e fruttosio; ulteriori addizioni portano a oligosaccaridi e, quando il numero di unità cresce fino a contare centinaia o migliaia di monomeri, a veri polisaccaridi. Dal punto di vista topologico, i legami possono instaurarsi in posizioni differenti (ad esempio 1→4 o 1→6) e con diversa configurazione anomerica (α o β), producendo catene lineari o fortemente ramificate. Questa flessibilità è una delle ragioni principali della grande eterogeneità dei carboidrati complessi.

Le reazioni di condensazione che assemblano zuccheri in catene sono, in termini termodinamici, sfavorite e richiedono accoppiamento energetico e catalisi enzimatica; al contrario, l’idrolisi del legame glicosidico, che reintegra una molecola d’acqua scindendo il polimero in unità più piccole, è in genere favorita (Figura 01.09-04). In cellula, la biosintesi dei polisaccaridi avviene spesso mediante “zuccheri attivati”, come l’UDP‑glucosio, trasferiti su accettori specifici da glicosiltransferasi; la direzionalità e la fedeltà dipendono dalla specificità enzimatica e dall’energia fornita dall’idrolisi del nucleotidofosfato.

Poiché ogni monosaccaride dispone di molteplici gruppi –OH capaci di partecipare alla glicosidazione, le catene polisaccaridiche possono presentare numerosi punti di ramificazione. Ne consegue che l’insieme delle strutture possibili è gigantesco, con uno “spazio glicano” vastissimo. Determinare l’ordine e la connettività dei residui zuccherini in un polisaccaride risulta, pertanto, ben più complesso dell’analogo problema nelle proteine o negli acidi nucleici, dove le subunità sono collegate in modo ripetitivo e unidirezionale: nei glicani, invece, variano identità monomerica, posizioni dei legami, configurazioni anomeriche e pattern di ramificazione.

Il glucosio riveste un ruolo centrale nel metabolismo energetico. La sua degradazione attraverso la glicolisi e, in presenza di ossigeno, il successivo convogliamento nel ciclo dell’acido citrico e nella catena di trasporto degli elettroni consente la produzione di ATP e di equivalenti riducenti utilizzabili per lavoro chimico, trasporto e movimento. Tessuti come cervello ed eritrociti dipendono in larga misura dall’apporto continuo di glucosio. Per l’immagazzinamento a lungo termine, le cellule convertono il glucosio in polisaccaridi di riserva: negli animali, il glicogeno, altamente ramificato per via di legami α(1→6) che si innestano su tratti α(1→4), permette mobilizzazione rapida; nelle piante, l’amido comprende amilosio (principalmente lineare) e amilopectina (ramificata), con organizzazione che ottimizza accumulo e accessibilità.

I carboidrati non sono soltanto “carburante”. Alcuni polisaccaridi svolgono funzioni strutturali essenziali. La cellulosa, un polimero lineare di glucosio unito tramite legami β(1→4), è il costituente maggiore della parete cellulare vegetale; l’allineamento delle catene e le estese interazioni a idrogeno generano microfibrille robuste, conferendo resistenza meccanica ai tessuti vegetali. Analogamente, la chitina, formata da residui di N‑acetilglucosammina connessi in maniera analoga, rappresenta l’elemento strutturale principale degli esoscheletri degli artropodi e delle pareti di molti funghi, risultando straordinariamente abbondante in natura.

Polisaccaridi e glicoconiugati modulano anche le proprietà fisiche di secrezioni e matrice extracellulare. Glicosaminoglicani come ialuronato e solfati di condroitina, spesso organizzati in proteoglicani, trattengono grandi volumi d’acqua e generano gel idratati che lubrificano e ammortizzano: ciò spiega le caratteristiche di scivolosità della bava e del muco e la resistenza alla compressione della cartilagine articolare. Le mucine, glicoproteine con catene O‑glicosidiche dense e sialilate, contribuiscono a viscoelasticità e protezione delle superfici epiteliali.

Oligosaccaridi più brevi vengono assemblati co- o post-traduzionalmente su proteine e lipidi, formando rispettivamente glicoproteine e glicolipidi, abbondanti nelle membrane cellulari. Il rivestimento esterno ricco di zuccheri, il glicocalice, svolge ruoli multipli: schermatura dalla proteolisi, controllo dell’idratazione superficiale, interazioni cellula‑cellula e cellula‑matrice, oltre a fungere da codice molecolare per il riconoscimento. Variazioni qualitative e quantitative nelle catene saccaridiche di superficie determinano differenze fenotipiche significative; un caso emblematico è costituito dagli antigeni dei gruppi sanguigni ABO, che dipendono dall’aggiunta enzimatica, su una medesima impalcatura oligosaccaridica, di residui terminali distinti.

Per illustrare la pluralità delle configurazioni possibili, si consideri che due disaccaridi, pur condividendo composizione elementare e identità monomerica, possono differire radicalmente in caratteristiche fisiche e metaboliche se variano posizione e stereochimica del legame: è il caso, ad esempio, del maltosio [α‑D‑Glc‑(1→4)‑Glc] rispetto al cellobiosio [β‑D‑Glc‑(1→4)‑Glc], la cui distinta configurazione anomerica si traduce in proprietà e vie enzimatiche diverse. Questa sensibilità alla stereochimica è un principio generale della biochimica dei carboidrati, riflesso nella specificità delle idrolasi e delle glicosiltransferasi:

  • Fonti energetiche immediate: ossidazione del glucosio per la generazione di ATP e potere riducente;
  • Deposito di energia: glicogeno negli animali e amido nelle piante, ottimizzati per sintesi e mobilizzazione efficienti;
  • Supporto strutturale: cellulosa nelle piante e chitina in artropodi e funghi, con organizzazioni supramolecolari ad alta resistenza;
  • Proprietà reologiche dei tessuti: glicosaminoglicani e mucine in gel idratati che conferiscono lubrificazione e capacità di ammortamento;
  • Informazione e riconoscimento: oligosaccaridi su glicoproteine e glicolipidi nel glicocalice, determinanti per adesione, segnalazione e antigenicità, come negli antigeni dei gruppi sanguigni.

In sintesi, la chimica degli zuccheri unisce una straordinaria versatilità stereochimica a una notevole plasticità di collegamento, permettendo l’emergere di funzioni che spaziano dalla bioenergetica alla costruzione e alla comunicazione cellulare. Le reazioni di condensazione che creano legami glicosidici (Figura 01.09-03) e la loro controparte idrolitica (Figura 01.09-04) costituiscono il fulcro dinamico di questa rete, mentre l’ampiezza dello spazio strutturale rende l’analisi dei polisaccaridi più articolata rispetto a quella di proteine e acidi nucleici, nei quali la polimerizzazione segue vincoli più rigidi e ripetitivi.

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Struttura del glucosio

La struttura molecolare del glucosio, un monosaccaride, si può rappresentare in vari modi. (A) Nella formula di struttura gli atomi sono indicati per mezzo del loro simbolo chimico e sono collegati da linee continue che rappresentano i legami covalenti. Le linee spesse indicano il piano dell’anello molecolare e mostrano che i gruppi –H e –OH non si trovano sullo stesso piano dell’anello. (B) Un altro tipo di formula strutturale rappresenta la struttura tridimensionale del glucosio nella cosiddetta “configurazione a sedia”. (C) Modello a sfere e bastoncini che mette in evidenza la disposizione tridimensionale degli atomi. (D) Modello a spazio pieno che, oltre a descrivere la disposizione degli atomi nello spazio, dà un’idea delle loro dimensioni relative e del profilo della superficie molecolare. In (C) e (D) gli atomi sono colorati come segue: C nero, H bianco, O rosso. Si tratta del codice colore convenzionale per questi atomi che verrà utilizzato in tutto il volume.

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Struttura del glucosio

La struttura molecolare del glucosio, un monosaccaride, si può rappresentare in vari modi. (A) Nella formula di struttura gli atomi sono indicati per mezzo del loro simbolo chimico e sono collegati da linee continue che rappresentano i legami covalenti. Le linee spesse indicano il piano dell’anello molecolare e mostrano che i gruppi –H e –OH non si trovano sullo stesso piano dell’anello. (B) Un altro tipo di formula strutturale rappresenta la struttura tridimensionale del glucosio nella cosiddetta “configurazione a sedia”. (C) Modello a sfere e bastoncini che mette in evidenza la disposizione tridimensionale degli atomi. (D) Modello a spazio pieno che, oltre a descrivere la disposizione degli atomi nello spazio, dà un’idea delle loro dimensioni relative e del profilo della superficie molecolare. In (C) e (D) gli atomi sono colorati come segue: C nero, H bianco, O rosso. Si tratta del codice colore convenzionale per questi atomi che verrà utilizzato in tutto il volume.

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Formazione di un disaccaride

Due monosaccaridi uniti da un legame covalente glicosidico formano un disaccaride. Questa reazione appartiene alla categoria generale delle reazioni di condensazione, in cui due molecole si uniscono con perdita di una molecola di acqua. La reazione inversa, in cui si aggiunge una molecola di acqua, viene chiamata idrolisi.

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Condensazione e idrolisi

Condensazione e idrolisi sono reazioni inverse. Le grandi macromolecole polimeriche della cellula sono formate dall’unione di subunità (o monomeri) mediante reazioni di condensazione e vengono scomposte per idrolisi. Le reazioni di condensazione sono sfavorite energeticamente; pertanto la formazione di macromolecole richiede un apporto di energia.

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Due monosaccaridi uniti da un legame covalente glicosidico formano un disaccaride. Questa reazione appartiene alla categoria generale delle reazioni di condensazione, in cui due molecole si uniscono con perdita di una molecola di acqua. La reazione inversa, in cui si aggiunge una molecola di acqua, viene chiamata idrolisi.

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Condensazione e idrolisi

Condensazione e idrolisi sono reazioni inverse. Le grandi macromolecole polimeriche della cellula sono formate dall’unione di subunità (o monomeri) mediante reazioni di condensazione e vengono scomposte per idrolisi. Le reazioni di condensazione sono sfavorite energeticamente; pertanto la formazione di macromolecole richiede un apporto di energia.

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Ruolo degli acidi grassi nelle membrane cellulari

Un acido grasso tipico, come l’acido palmitico, è costituito da due domini funzionalmente distinti: una lunga coda idrocarburica apolare, scarsamente reattiva e insolubile in acqua, e un gruppo carbossilico \( -\mathrm{COOH} \), che in soluzione fisiologica è prevalentemente ionizzato a \( -\mathrm{COO}^- \), idrofilo e chimicamente reattivo (Figura 01.09-05). Molecole con porzioni idrofobe e idrofile nello stesso tempo sono dette anfipatiche. Nella cellula, gli acidi grassi si trovano in gran parte legati covalentemente ad altre molecole tramite il loro gruppo carbossilico, formando legami esterei (per esempio con il glicerolo) o ammidi (come negli sfingolipidi).

Le code idrocarburiche possono essere sature, prive di doppi legami e quindi lineari, o insature, con uno o più doppi legami carbonio–carbonio. Nella maggioranza dei lipidi naturali i doppi legami sono in configurazione cis, introducendo una “piegatura” della catena che ostacola l’impacchettamento ordinato; di conseguenza, la temperatura di transizione di fase del lipide diminuisce. Al contrario, legami trans si comportano in modo più simile alle catene sature. Le differenze tra acidi grassi cellulari riguardano essenzialmente la lunghezza della catena (comunemente 14–24 atomi di carbonio) e il numero/posizione dei doppi legami.

Le proprietà fisiche delle membrane dipendono dall’insieme di queste caratteristiche. La fluidità del doppio strato lipidico, struttura fondamentale di tutte le membrane cellulari, è modulata dalla proporzione di catene sature/insature e dalla loro lunghezza, oltre che dalla presenza di altri lipidi come il colesterolo e dai glicolipidi (Figura 01.09-07). Nei fosfolipidi glicerolipidi, formalmente affini ai triacilgliceroli, due idrossili del glicerolo sono esterificati con acidi grassi, mentre il terzo lega un gruppo fosfato polare, a sua volta connesso a piccole teste idrofile (per esempio colina, etanolammina o serina). Ne deriva una marcata anfipatia: teste polari esposte all’acqua e due code idrofobe che tendono a evitare l’ambiente acquoso.

Gli acidi grassi fungono anche da riserva energetica altamente concentrata. Nei mammiferi e in molte cellule eucariotiche sono stoccati sotto forma di goccioline lipidiche citoplasmatiche costituite da triacilgliceroli, nei quali tre acidi grassi sono esterificati al glicerolo (Figura 01.09-06). Su base ponderale, l’ossidazione completa dei lipidi fornisce circa 9,0 kcal/g, contro le ~4,0 kcal/g dei carboidrati, cioè all’incirca 2,3 volte più energia. Quando è richiesta energia, le catene aciliche vengono liberate, attivate a acil–CoA e smontate per β‑ossidazione in unità a due atomi di carbonio (acetil‑CoA), che confluiscono nel ciclo dell’acido citrico e nella catena di trasporto degli elettroni.

I lipidi comprendono una famiglia eterogenea di molecole prevalentemente insolubili in acqua e solubili in solventi organici: triacilgliceroli, fosfolipidi, glicolipidi e steroidi con nuclei policiclici aromatici. L’impiego più strategico degli acidi grassi è la costruzione dei doppi strati fosfolipidici che delimitano le cellule e gli organuli. In ambiente acquoso, i fosfolipidi si dispongono preferenzialmente con le teste idrofile rivolte verso l’acqua e le code idrofobe allontanate dall’acqua: all’interfaccia acqua–aria formano monostrati, mentre in volume acquoso due monostrati possono appaiarsi “coda a coda”, generando spontaneamente un doppio strato continuo e sigillante, cioè una membrana fosfolipidica:

  • catene sature allungano l’impacchettamento e aumentano la rigidità della membrana;
  • catene insature (cis) introducono discontinuità che accrescono la fluidità;
  • catene più lunghe innalzano la temperatura di fusione, quelle più corte la riducono;
  • glicolipidi e steroli modulano ulteriormente permeabilità e ordine laterale del doppio strato.

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Struttura degli acidi grassi

Gli acidi grassi hanno componenti sia idrofobe sia idrofile. La catena idrocarburica idrofoba è legata a un gruppo carbossilico acido idrofilo. I vari acidi grassi differiscono per la catena idrocarburica. Qui è rappresentato l’acido palmitico. (A) Formula di struttura, che mostra il gruppo carbossilico terminale nella sua forma ionizzata, come si trova in acqua a pH 7. (B) Modello a sfere e bastoncini. (C) Modello a spazio pieno.

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Fosfolipidi e membrane cellulari

I fosfolipidi si aggregano formando le membrane cellulari. Sono composti da due code idrofobe di acido grasso unite a una testa idrofila. (A) La fosfatidilcolina è il più comune fosfolipide nelle membrane cellulari. (B) Diagramma che mostra come, in un ambiente acquoso, le code idrofobe dei fosfolipidi si uniscano per formare un doppio strato lipidico. Nel doppio strato lipidico, le teste idrofile delle molecole fosfolipidiche sono all’esterno, rivolte verso l’ambiente acquoso, e le code idrofobe sono all’interno, dove l’acqua è esclusa.

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Proprietà dei grassi

Le proprietà dei grassi dipendono dalla lunghezza e dalla saturazione delle catene di acido grasso che li compongono. In molti tipi di cellule, gli acidi grassi sono immagazzinati nel citoplasma sotto forma di goccioline di triacilgliceroli, molecole formate da tre catene di acido grasso unite a una molecola di glicerolo. (A) I grassi saturi sono contenuti nella carne e nei derivati del latte. (B) Gli oli vegetali, come l’olio di mais, hanno invece nella loro molecola acidi grassi insaturi, con un doppio legame (monoinsaturi) o più doppi legami (polinsaturi). Questo spiega perché gli oli vegetali rimangono allo stato liquido a temperatura ambiente. Benché i grassi siano essenziali nella dieta, quelli saturi non lo sono perché fanno aumentare la concentrazione di colesterolo nel sangue e possono contribuire all’ostruzione delle arterie, aumentando il rischio di infarto cardiaco e ictus.

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Gli amminoacidi come unità costitutive delle proteine

Gli amminoacidi sono piccole molecole organiche che condividono un’architettura comune: un carbonio α porta un gruppo carbossilico \( -\mathrm{COOH} \), un gruppo amminico \( -\mathrm{NH_2} \), un idrogeno e una catena laterale variabile \( \mathrm{R} \) (Figura 01.09-08). In condizioni fisiologiche molte specie si presentano come zwitterioni, con \( -\mathrm{NH_3}^+ \) e \( -\mathrm{COO}^- \). La natura chimica di \( \mathrm{R} \) conferisce a ciascun amminoacido proprietà uniche e ne determina il comportamento in soluzione e all’interno delle proteine.

Le proteine sono polimeri lineari di amminoacidi, uniti da legami peptidici generati per condensazione tra il carbossile di un residuo e l’amminico del successivo, con eliminazione di \( \mathrm{H_2O} \). Il legame peptidico è planare e tende alla configurazione trans, limitando la rotazione e conferendo rigidità locale. Ogni polipeptide possiede polarità strutturale: un’estremità amminica libera (N‑terminale) e un’estremità carbossilica libera (C‑terminale) (Figura 01.09-09). La sequenza degli amminoacidi (struttura primaria) guida il ripiegamento nelle strutture secondarie e terziarie attraverso interazioni non covalenti e, talvolta, ponti disolfuro \( \mathrm{Cys–S–S–Cys} \).

Nelle proteine codificate sono utilizzati normalmente venti amminoacidi standard. La loro varietà chimica è fondamentale per la funzione proteica. Un sottoinsieme presenta catene laterali ionizzabili a pH fisiologico o vicino ad esso: acido aspartico e acido glutammico (acidi), lisina e arginina (basici), istidina con \( pK_a \) vicino a 6,0, utile nella catalisi enzimatica. Altri residui sono polari non carichi (per esempio serina, treonina, asparagina, glutammina) o non polari/idrofobici (per esempio leucina, isoleucina, valina, fenilalanina). Restano casi particolari come glicina, priva di chiralità, e prolina, che introduce curvature marcate nella catena.

La chiralità è un aspetto cruciale: salvo la glicina, gli amminoacidi esistono come enantiomeri L e D. Nelle proteine cellulari sono impiegate esclusivamente le forme L, mentre D‑amminoacidi compaiono in contesti specifici extra-proteici, come nelle pareti batteriche e in alcuni antibiotici; nel sistema nervoso centrale, la D‑serina ha funzioni di modulatore sinaptico. La scelta storica delle forme L e dell’attuale alfabeto di 20 residui riflette vincoli evolutivi e di compatibilità metabolica, piuttosto che una necessità chimica intrinseca:

  • il legame peptidico stabilisce una dorsale ripetitiva \( -\mathrm{N–C_\alpha–C(=O)}- \) con direzione N→C;
  • le proprietà collettive delle catene laterali governano solubilità, stabilità e attività catalitica;
  • interazioni idrofobiche, legami idrogeno, forze di van der Waals e legami ionici guidano il ripiegamento;
  • modificazioni post-traduzionali (per esempio fosforilazioni su Ser/Thr/Tyr) ampliano il repertorio funzionale.

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Struttura degli amminoacidi

Tutti gli amminoacidi hanno un gruppo amminico, un gruppo carbossilico e una catena laterale (R) legati all’atomo di carbonio α. Nella cellula, dove il pH è vicino a 7, gli amminoacidi liberi si trovano in forma ionizzata, ma quando vengono incorporati in una catena polipeptidica, le cariche dei gruppi amminico e carbossilico scompaiono. (A) L’alanina è uno degli amminoacidi più semplici con un gruppo metilico (CH₃) come catena laterale. Il suo gruppo amminico è evidenziato in blu e il suo gruppo carbossilico in rosso. (B) Modello a sfere e bastoncini. (C) Modello a spazio pieno dell’alanina. In (B) e (C) l’atomo di azoto (N) è blu e l’atomo di ossigeno (O) è rosso.

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Legami peptidici nelle proteine

Gli amminoacidi nelle proteine sono tenuti insieme da legami peptidici. I quattro amminoacidi mostrati nella figura sono uniti da tre legami peptidici, uno dei quali è evidenziato in giallo. Uno degli amminoacidi, l’acido glutammico, si trova nel riquadro grigio. Le catene laterali degli amminoacidi sono indicate in rosso. L’N-terminale del polipeptide finisce con un gruppo amminico, mentre l’altra estremità, il C-terminale, con un gruppo carbossilico. In una proteina, la sequenza di amminoacidi si indica con un codice rappresentato da una lettera maiuscola o con una sigla di tre lettere: la sequenza di amminoacidi si legge cominciando sempre dall’amminoacido N-terminale. Nell’esempio di questa figura la sequenza è Phe-Ser-Glu-Lys, ovvero FSEK.

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I nucleotidi come mattoni di DNA e RNA

DNA e RNA sono polimeri i cui monomeri sono nucleotidi. Un nucleotide è composto da una base azotata (purinica o pirimidinica) legata tramite un legame N‑glicosidico a uno zucchero pentoso e da uno o più gruppi fosfato. Il pentoso è ribosio nell’RNA e deossiribosio nel DNA (privo dell’ossidrile in posizione 2’). Le basi pirimidiniche comprendono citosina (C), timina (T) e uracile (U), mentre adenina (A) e guanina (G) appartengono alle purine. Base più zucchero definiscono un nucleoside; l’aggiunta di fosfati genera nucleotidi mono‑, di‑ o trifosfato.

Derivati trifosfato come ATP, GTP, CTP e UTP fungono da trasportatori di energia e gruppi attivati. In particolare, l’adenosina trifosfato (Figura 01.09-10) possiede due legami fosfoanidridici in serie alle estremità 5’, la cui idrolisi libera energia libera utile. La rimozione del fosfato terminale (idrolisi a ADP + \( \mathrm{P_i} \)) è frequentemente accoppiata a reazioni biosintetiche endoergoniche mediante trasferimento del gruppo fosforico al substrato (Figura 01.09-11). Altri cofattori nucleotidici, come NAD\(^+\), NADP\(^+\) e FAD, estendono questa logica a trasferimenti redox.

Gli acidi nucleici sono catene in cui i nucleotidi sono connessi da legami 3’–5’ fosfodiesterici tra il gruppo fosfato del nucleotide entrante e l’ossidrile 3’ dello zucchero della catena in crescita (Figura 01.09-12). La polimerizzazione procede dalla estremità 5’ verso la 3’ mediante una reazione di condensazione che utilizza nucleosidi trifosfato e rilascia pirofosfato inorganico, conferendo direzionalità alla catena. Le successioni di basi codificano l’informazione genetica.

Il DNA è per lo più presente come doppia elica antiparallela stabilizzata da legami idrogeno specifici tra coppie di basi complementari: A con T e G con C. Tali appaiamenti rispettano regole geometriche che rendono costante la distanza tra i filamenti e creano solchi maggiore e minore, rilevanti per il riconoscimento proteico. L’RNA, generalmente monocatenario, adotta però numerose strutture secondarie tramite appaiamenti intramolecolari (forcelle, steli‑anello) e svolge funzioni diverse come molecola informativa, strutturale e catalitica. Nel loro insieme, complementarità e appaiamento di basi (A–T/U, G–C) costituiscono il fondamento molecolare della replicazione, della trascrizione e dell’ereditarietà:

  • ribosio con 2’‑OH rende l’RNA più reattivo e flessibile rispetto al DNA deossi;
  • la dorsale zucchero‑fosfato impartisce carica negativa uniforme e solubilità in acqua;
  • la sequenza 5’→3’ è la direzione canonica di sintesi e lettura delle catene;
  • la stabilità del DNA come archivio informativo contrasta con la natura generalmente transiente dell’RNA.

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Adenosina trifosfato (ATP)

Nella cellula l’adenosina trifosfato (ATP) è un vettore di energia di importanza cruciale. (A) Formula di struttura: i tre gruppi fosfato sono evidenziati in giallo. La presenza del gruppo –OH sul secondo carbonio dell’anello di zucchero (in rosso) distingue questo zucchero come ribosio. (B) Modello a sfere e bastoncini: in (B) gli atomi di fosforo (P) sono colorati in giallo.

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L’ATP è sintetizzato a partire dall’ADP e dal fosfato inorganico e rilascia energia quando è idrolizzato ad ADP e fosfato inorganico. L’energia necessaria per la sintesi di ATP deriva dall’ossidazione delle sostanze nutritive, che genera energia (nelle cellule animali, nei funghi e in alcuni batteri), oppure dalla captazione della luce (nelle cellule vegetali e in alcuni batteri). L’idrolisi dell’ATP fornisce energia per alimentare molti processi cellulari. Nel complesso, le due reazioni illustrate costituiscono il ciclo dell’ATP.

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Struttura del DNA: legami fosfodiesterici

Un breve tratto di catena in una molecola di acido deossiribonucleico (DNA) mostra i legami covalenti fosfodiesterici che uniscono quattro nucleotidi consecutivi. I legami uniscono specifici atomi di carbonio dell’anello glucidico, noti come atomi 5′ e 3′. Per questa ragione un’estremità della catena polinucleotidica, la 5′, presenterà un gruppo fosfato libero e l’altra, la 3′, un gruppo ossidrile libero. Uno dei nucleotidi, la timina (T), è incluso nel riquadro grigio; uno dei legami fosfodiesterici è evidenziato in giallo. In una catena polinucleotidica ogni residuo nucleotidico della sequenza lineare si abbrevia generalmente con un codice di una sola lettera maiuscola e la sequenza si legge sempre a partire dall’estremità 5′. Nell’esempio illustrato la sequenza è GATC.

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