Circuito idrodinamico del sangue
Definizione
Il sistema cardiovascolare umano è un circuito idrodinamico chiuso, nel quale il sangue viene messo in moto dal cuore e scorre in due circuiti disposti in serie: quello sistemico e quello polmonare. Dal ventricolo sinistro il sangue entra nell’aorta e si ripartisce in arterie di calibro via via minore, quindi nelle arteriole e infine nella fitta rete capillare, sede degli scambi di O2, CO2, nutrienti e cataboliti tra sangue e interstizio. Dai capillari il flusso confluisce in venule e vene che, riunendosi nella vena cava, convogliano il sangue all’atrio destro; da qui il sangue raggiunge il ventricolo destro ed è pompato nell’albero polmonare, dove avviene l’ematosi a livello degli alveoli. Il sangue ossigenato ritorna all’atrio sinistro, passa nel ventricolo sinistro e il ciclo si ripete.
Per impostare l’analisi fisica, il circuito può essere ricondotto a un modello essenziale (Figura 03.10-01) in cui, in prima approssimazione, si assume che: il flusso sia stazionario (non pulsatile), le pareti vascolari siano rigide, il sangue sia un fluido omogeneo, incomprimibile e privo di viscosità. Tali ipotesi, pur semplificative, consentono di applicare con chiarezza i principi della fluidodinamica classica; in seguito, reintroducendo la viscosità ematica e la cedevolezza (compliance) delle pareti, si può descrivere un comportamento progressivamente più aderente alla fisiologia reale.
Il volume ematico totale in un adulto è tipicamente dell’ordine di 5–6 litri, mentre la portata media a riposo del circolo sistemico (gittata cardiaca) è circa 5,0 L/min. In condizioni stazionarie, la portata Q è la stessa attraverso qualsiasi sezione complessiva del circuito: quanto esce dal cuore nell’unità di tempo è uguale a quanto attraversa, nello stesso intervallo, ciascun distretto considerato nel suo insieme.
La continuità di flusso impone la relazione \( Q = S \, v \), dove S è l’area della sezione ortogonale al moto e v la velocità media locale. Se Q è costante, ne consegue che la velocità è inversamente proporzionale alla sezione: al diminuire di S la velocità aumenta, e viceversa. Quando un condotto si divide in rami paralleli, come schematicamente in (Figura 03.10-02), la sezione “efficace” da considerare è la somma delle aree dei rami. Di conseguenza, in una diramazione in cui l’area complessiva raddoppia o triplica, la velocità media si riduce rispettivamente alla metà o a un terzo. Nella (Figura 03.10-03) il confronto tra sezioni A, B e C esemplifica come varia la velocità in funzione dell’area totale: se B ha area pari a un quarto di A, la velocità in B risulta quattro volte maggiore; se C rappresenta più condotti in parallelo con area totale superiore a B, l’equazione di continuità impone in C una velocità inferiore rispetto a B.
Questa logica applicata al sistema vascolare reale spiega l’andamento della velocità lungo l’albero arterioso fino ai capillari e poi nel ritorno venoso (Figura 03.10-03): l’area totale di sezione cresce enormemente dall’aorta (pochi cm²) alla rete capillare (migliaia di cm²), determinando un brusco rallentamento nei capillari, condizione favorevole alla diffusione attraverso la parete capillare. Procedendo verso le venule e le vene, la sezione complessiva decresce e la velocità aumenta, così che il sangue rientra in vena cava con velocità media paragonabile a quella di uscita dall’aorta.
Esempio numerico distinto: ponendo \( Q = 5{,}0 \) L/min \( = 83{,}3 \) cm³/s, se l’area media dell’aorta è \( S_{\mathrm{ao}} \approx 3{,}0 \) cm², la velocità risulta \( v_{\mathrm{ao}} \approx 27{,}8 \) cm/s. Nella rete capillare, con area totale \( S_{\mathrm{cap}} \approx 2500 \) cm², la velocità media scende a \( v_{\mathrm{cap}} \approx 0{,}033 \) cm/s, il che quantifica l’enorme differenza tra distretti in serie ma con sezioni complessive molto diverse.
Nel sangue reale l’attrito viscoso non è trascurabile e le pareti sono deformabili; tuttavia il teorema di Bernoulli, assunto in assenza di perdite e lungo una stessa linea di corrente, fornisce utili stime qualitative e quantitative. Un’applicazione classica riguarda la variazione di pressione laterale in presenza di dilatazioni (aneurismi) o restringimenti (stenosi) lungo un’arteria. Consideriamo un aneurisma posto orizzontalmente, con altezze equivalenti \( h_{1} = h_{2} \) (Figura 03.10-04), e supponiamo pareti rigide e flusso stazionario: la portata costante impone una velocità minore nella dilatazione, essendo maggiore la sezione.
(7.1)
\( v_{2} = v_{1} \, \dfrac{S_{1}}{S_{2}} \quad (S_{1} < S_{2}) \).
Applicando Bernoulli nella forma semplificata per livelli uguali:
(7.2)
\( \dfrac{v_{1}^{2}}{2g} + \dfrac{p_{1}}{d \, g} = \dfrac{v_{2}^{2}}{2g} + \dfrac{p_{2}}{d \, g} \quad (h_{1} = h_{2}) \),
ne consegue che, essendo \( v_{2} < v_{1} \), la pressione statica nell’aneurisma \( p_{2} \) è maggiore di \( p_{1} \). Poiché la pressione è isotropa, la spinta laterale tende a favorire l’ulteriore dilatazione. In termini meccanici, la legge di Laplace per un cilindro sottile, \( T = p \, r \) (tensione di parete T proporzionale al prodotto della pressione interna p per il raggio r), mostra che l’aumento del raggio determina un incremento della tensione parietale, alimentando un circolo vizioso di instabilità. Per una stenosi, a parità di quota, la sezione ridotta impone una velocità maggiore e dunque una caduta di pressione nella gola della stenosi, con possibili ripercussioni sulla perfusione distale.
Una manifestazione clinica correlata è il “furto della succlavia”: una stenosi della succlavia prossimale all’origine dell’arteria vertebrale può invertire il flusso nel circolo vertebro-basilare controlaterale, deviando sangue verso l’arto superiore a bassa pressione anziché verso l’encefalo e inducendo ipoperfusione cerebrale.
L’uso del teorema di Bernoulli è alla base di diversi strumenti per la misura della portata di un fluido. Un esempio è il tubo di Venturi, costituito da un tratto con strozzatura e due prese di pressione collegate a canne manometriche (Figura 03.10-04): la differenza di pressione \( p_{1} - p_{2} \) tra la sezione a monte e la gola è legata alla velocità a monte \( v_{1} \), nota la geometria del condotto.
(7.3)
\( p_{1} - p_{2} = \dfrac{1}{2} \, d \, v_{1}^{2} \left( \dfrac{S_{1}^{2}}{S_{2}^{2}} - 1 \right) \),
che si ottiene combinando la continuità \( v_{2} = v_{1} S_{1}/S_{2} \) con Bernoulli. Da una misura di \( p_{1} - p_{2} \) e dalla conoscenza di \( S_{1}, S_{2} \) si ricavano \( v_{1} \) e \( v_{2} \), e quindi la portata \( Q = S_{1} \, v_{1} \).
Il tubo di Pitot (Figura 03.10-05) consente la misura diretta della velocità locale: una presa frontale porta il fluido a velocità nulla (punto di ristagno) e misura la pressione totale \( p_{0} \), mentre prese laterali rilevano la pressione statica p. La differenza manometrica soddisfa la relazione \( p_{0} - p = \tfrac{1}{2} \, d \, v^{2} \), da cui si ottiene \( v = \sqrt{ \dfrac{2 (p_{0} - p)}{d} } \). Il principio è valido anche per i gas e trova impiego nell’aeronautica e nella ventilazione ambientale.
Le misure invasive della portata e della velocità ematica richiedono l’accesso diretto al lume vascolare. Esistono tuttavia metodi non invasivi, tra cui:
- flussimetria Doppler a ultrasuoni, che stima la velocità misurando lo scostamento di frequenza \( \Delta f = \dfrac{2 f_{0} v \cos \theta}{c} \) tra onda incidente e riflessa dagli eritrociti, con \( f_{0} \) frequenza di emissione, \( \theta \) angolo di insonazione e c velocità del suono nei tessuti;
- tecniche di risonanza magnetica in fase-contrasto, che quantificano il profilo di velocità attraverso la variazione di fase del segnale proporzionale allo spostamento;
- metodi a diluizione di indicatore, oggi meno usati per via della maggiore invasività rispetto all’ecodoppler.
Queste tecniche, opportunamente calibrate e corrette per la viscosità e la pulsatività del flusso, forniscono misure affidabili della portata nei diversi distretti vascolari.
