Campi elettromagnetici a bassa frequenza, radiofrequenza e microonde
Definizione
I raggi X sono onde elettromagnetiche caratterizzate da lunghezze d’onda estremamente ridotte, nell’intervallo \( \lambda \approx 10 \text{ – } 10^{-3}\,\text{\AA} \) (ovvero tra 1,0 nm e 0,0001 nm), e da frequenze molto elevate, tipicamente comprese tra \(10^{17}\) e \(10^{21}\,\text{Hz}\) (Figura 07.22-01). L’emissione termica di un corpo, anche a temperature molto alte, non fornisce in pratica fotoni X, poiché lo spettro del corpo nero colloca il massimo ben al di sotto di tali frequenze. Analogamente, l’emissione caratteristica associata a transizioni di elettroni di valenza in atomi o molecole eccitati termicamente o per scarica elettrica produce al più fotoni nell’ultravioletto: il salto energetico tra stati di valenza non è sufficiente per generare fotoni X.
La produzione di radiazione X richiede pertanto una delle seguenti condizioni fisiche:
- indurre transizioni elettroniche tra livelli interni ed esterni di un atomo, creando una vacanza in uno stato interno e favorendo il riempimento da parte di un elettrone più esterno, con emissione di un fotone di energia adeguata;
- accelerare elettroni liberi fino a energie cinetiche molto elevate e provocarne un brusco rallentamento (frenamento) in un materiale bersaglio, convertendo parte dell’energia cinetica in fotoni X.
Lo schema funzionale dell’apparecchiatura per la generazione di raggi X è illustrato in (Figura 07.22-02). Il dispositivo consiste in un tubo sotto alto vuoto contenente un catodo e un anodo. Il catodo è un filamento metallico attraversato da una corrente a bassa tensione e alto amperaggio: per effetto Joule il filamento si porta all’incandescenza e, grazie all’effetto termoionico, emette elettroni di conduzione che superano la barriera di estrazione del metallo.
L’anodo (o bersaglio) è una piastra metallica che deve soddisfare requisiti stringenti, motivati dall’intensa potenza dissipata e dall’efficienza del processo radiogeno:
- numero atomico elevato, per incrementare la probabilità di frenamento e l’emissione di radiazione X;
- alto punto di fusione, per sopportare il carico termico concentrato nella zona d’impatto;
- buona conducibilità termica, per favorire la rimozione del calore generato.
In pratica si utilizza frequentemente il tungsteno; spesso il bersaglio funzionale (anticatodo) è una lamina di tungsteno accoppiata a un supporto con elevata conducibilità termica, così da ottimizzare la gestione del calore.
Tra catodo e anodo si applica una differenza di potenziale molto alta (10 kV – 1 MV, in base all’impiego). In diagnostica medica, dove è cruciale distinguere materiali con differente numero atomico efficace, si impiegano tipicamente tensioni fino a 200 kV, mentre in ambito terapeutico si utilizzano valori superiori. La d.d.p. è fornita da generatori elevatori che portano la tensione di rete a valori idonei (Figura 07.22-02). Nella pratica moderna, l’alta tensione è resa il più possibile continua e stabile mediante raddrizzamento e alimentatori ad alta frequenza, riducendo l’ondulazione e garantendo una dose e una qualità spettrale costanti per tutto l’irraggiamento. Un’unità radiografica contemporanea è rappresentata in (Figura 07.22-03).
Per ragioni di affidabilità e prestazioni, i tubi radiogeni operano a vuoto spinto (tipicamente fino a \(10^{-5}\text{–}10^{-7}\,\text{mbar}\)), impiegano involucri con finestra radiotrasparente (ad esempio in berillio) e sistemi di gestione termica dell’anodo. Nelle applicazioni ad alto carico, l’anodo può essere rotante, così da distribuire la potenza su una superficie maggiore e innalzare il carico termico ammissibile. La geometria del fuoco (spot focale) è definita dalla forma del filamento e dall’eventuale “coppa di focalizzazione”, migliorando nitidezza ed efficienza di accoppiamento.
Gli elettroni emessi dal filamento F (Figura 07.22-02) sono accelerati dal campo elettrico \(E\) prodotto dalla d.d.p. \(\Delta V\) tra catodo e anodo. Valendo la relazione tra campo e differenza di potenziale in un intervallo di lunghezza \(\ell\), si ha:
\( \Delta V = E\,\ell \)
La forza elettrica \(F = eE\) (dove \(e\) è la carica elementare) imprime agli elettroni un moto accelerato verso l’anodo. Per il teorema dell’energia cinetica, l’incremento dell’energia cinetica è pari al lavoro compiuto dal campo elettrico:
\[\frac{1}{2} m v^2 = e \Delta V,\]
Avendo assunto trascurabile l’energia cinetica iniziale, \(e\,\Delta V\) rappresenta l’energia cinetica con cui gli elettroni impattano sull’anticatodo. Dall’interazione con il bersaglio scaturiscono due meccanismi radiativi principali.
1) Radiazione di frenamento (bremsstrahlung). Gli elettroni penetrano nel bersaglio e subiscono deflessioni e brusche decelerazioni per interazione con i campi dei nuclei e degli elettroni atomici (Figura 07.22-04). Una particella carica soggetta ad accelerazione non nulla emette radiazione elettromagnetica, convertendo una frazione dell’energia cinetica in fotoni X. A seconda dell’andamento del frenamento, l’energia persa può essere emessa in uno o più fotoni. Per conservazione dell’energia, l’energia del singolo fotone non può superare \(e\,\Delta V\), valore ottenuto quando l’elettrone cede in un unico evento tutta la sua energia cinetica. La frequenza massima dello spettro continuo risulta dunque:
\( e\,\Delta V = h\,\nu_{\max} \),
dove \(h\) è la costante di Planck. Equivalentemente, il taglio allo spettro continuo può essere espresso come \[ \lambda_{\min} = \frac{hc}{e\,\Delta V} \] (legge di Duane–Hunt). Lo spettro di bremsstrahlung è pertanto continuo (“spettro bianco”) e il valore di taglio dipende unicamente dalla d.d.p. applicata. L’intensità relativa e la forma dello spettro dipendono anche dal materiale dell’anticatodo e dalle condizioni operative del tubo.
Esempio numerico. Per \(\Delta V = 120\,\text{kV}\), si ottiene \(\nu_{\max} \approx \dfrac{e\,\Delta V}{h} \approx 2{,}9 \times 10^{19}\,\text{Hz}\) e \( \lambda_{\min} \approx \dfrac{hc}{e\,\Delta V} \approx 0{,}010\,\text{nm} = 10{,}3\,\text{pm}\). Valori più alti di tensione spostano il taglio verso lunghezze d’onda più corte.
2) Emissione caratteristica. Un elettrone veloce può espellere per urto un elettrone da un orbitale interno di un atomo del bersaglio, lasciando una vacanza. La riorganizzazione elettronica che segue comporta la transizione di un elettrone da un livello più esterno a quello interno vacante, con emissione di un fotone X di energia \(h\nu\) pari alla differenza tra le energie dei due orbitali. Sullo spettro continuo si sovrappongono così righe strette a lunghezza d’onda ben definita (Figura 07.22-05), la cui posizione dipende dalla struttura dei livelli del materiale dell’anticatodo. Le transizioni verso il livello K (K\(\alpha\), K\(\beta\), …) e verso il livello L (L\(\alpha\), …) costituiscono le serie più comuni. La dipendenza sistematica della frequenza delle righe caratteristiche dal numero atomico è descritta empiricamente dalla legge di Moseley, che riflette l’andamento dei livelli legati nei potenziali coulombiani schermati.
Nei tubi radiogeni la frazione dell’energia elettrica convertita in raggi X è modesta, mentre la gran parte diventa calore nel bersaglio. Ciò motiva sia la scelta di materiali adatti sia l’adozione di soluzioni costruttive per dissipare la potenza (anodi massicci o rotanti, supporti ad alta conducibilità, raffreddamento). Filtri “intrinseci” e aggiunti (ad esempio alluminio o rame) possono essere impiegati per attenuare le componenti a bassa energia dello spettro continuo, migliorando la qualità del fascio per specifiche applicazioni.
In sintesi, il fascio emesso da un tubo a raggi X è la combinazione di:
- uno spettro continuo di bremsstrahlung, esteso da \(\lambda_{\min}\) verso lunghezze d’onda maggiori, con intensità che cresce con \(\Delta V\) e con il numero atomico del bersaglio;
- righe caratteristiche sovrapposte, a lunghezze d’onda determinate dalle differenze di energia tra livelli interni del materiale dell’anticatodo.
Questa struttura spettrale, modulabile intervenendo su tensione, corrente, materiale bersaglio e filtrazione, consente l’adattamento del fascio X alle diverse esigenze di diagnostica e terapia.
