Applicazioni della tensione superficiale ai sistemi biologici: embolia gassosa
Definizione
La tensione superficiale, intesa come energia o forza per unità di lunghezza che si manifesta all’interfaccia liquido-gas, costituisce un elemento fisico di rilievo in numerosi processi biologici. In ambito medico, la sua azione è particolarmente rilevante quando nel circolo ematico compaiono bolle di gas, configurando il quadro di embolia gassosa. In questi casi, l’interfaccia curva tra plasma e gas genera discontinuità di pressione che possono ostacolare o interrompere il flusso ematico, soprattutto nei distretti a piccolo calibro.
Il meccanismo si comprende richiamando l’equilibrio di Laplace: per una superficie sferica la differenza di pressione tra l’interno della bolla e il liquido circostante è \(\Delta p = 2\gamma/R\), dove \(\gamma\) è la tensione superficiale e \(R\) il raggio di curvatura. In un condotto cilindrico di raggio \(r\), la bolla assume due menischi contrapposti e, in prima approssimazione, la pressione necessaria a farla avanzare deve vincere la somma dei contributi capillari ai due fronti, dell’ordine di \(\Delta p \approx 4\gamma/r\). Ne segue che, a parità di \(\gamma\), quanto più il vaso è stretto, tanto maggiore è la pressione richiesta per dislocare la bolla: ciò spiega perché capillari e venule siano particolarmente vulnerabili all’occlusione.
Esempio numerico: assumendo \(\gamma = 0,05\ \text{N/m}\) e un microvaso con \(r = 3\,\mu\text{m}\), la pressione necessaria a mobilizzare un tappo gassoso è circa \(\Delta p \approx 4\cdot 0,05 / 3\cdot 10^{-6} \simeq 66,7\ \text{kPa}\), ossia ~500 mmHg. Pressioni di tale entità superano ampiamente i gradienti fisiologici nel microcircolo, rendendo plausibile il blocco del flusso e l’ischemia a valle.
La bolla, oltre all’effetto meccanico di occlusione, altera lo scorrimento ematico per slittamento del menisco e variazioni locali di sforzo di taglio; l’interfaccia gas-liquido può inoltre danneggiare l’endotelio e innescare processi trombotici e infiammatori. La trasmissione della pressione a valle risulta attenuata proprio a causa della discontinuità imposta dalla curvatura interfaciale: un incremento pressorio a monte viene in parte “assorbito” dal lavoro necessario a modificare la geometria della bolla, con conseguente riduzione della portata.
Condizioni cliniche in cui la tensione superficiale contribuisce alla patogenesi dell’embolia gassosa comprendono:
- ingresso accidentale di aria durante posizionamento di cateteri venosi centrali o durante infusione pressurizzata;
- interventi cardiochirurgici e procedure extracorporee, con possibile formazione di microbolle;
- neurochirurgia in posizione seduta, in cui la pressione venosa negativa facilita l’aspirazione di aria;
- barotrauma toracico con lesioni alveolo-vascolari e passaggio di gas nel circolo;
- particolari manovre ostetriche o ginecologiche con comunicazione venosa e ingresso di gas.
Parametri fisico-chimici modulano la pericolosità del fenomeno: la presenza di macromolecole e tensioattivi plasmatici può ridurre \(\gamma\), modificando sia la stabilità sia la mobilità della bolla; l’angolo di contatto alle pareti vascolari influenza le curvature dei menischi e, quindi, la pressione capillare; variazioni di pressione ambientale condizionano il volume della bolla secondo la legge dei gas, interagendo con gli effetti capillari. Nel complesso, nei vasi di piccolo calibro la combinazione tra elevata \(\gamma/r\) e limitati gradienti pressori fisiologici rende la bolla un efficace ostacolo al flusso, chiarendo la gravità emodinamica dell’embolia gassosa nei distretti critici, come coronarie e circolo cerebrale.
